Crollo dal 75 al 90% a causa del Covid per l’attività sia di elezione che di Pronto Soccorso, azzerata la prevenzione, a rischio l’aderenza delle terapie, prezzo altissimo per la gestione tardiva di patologie il cui decorso è fortemente condizionato da una diagnosi precoce.
Questo il quadro dell’urologia italiana in tempo di Covid-19, tracciato dalla Fondazione PRO nel corso di una conferenza stampa virtuale, nella giornata internazionale dedicata dall’Unesco alla salute maschile.
L’attività chirurgica per le patologie oncologiche non si è fermata per i tumori della vescica e della prostata, ma a tenere lontani gli uomini della propria salute ci ha pensato il combinato disposto dalla paura del contagio e della consueta, perniciosa, scarsa attitudine a prendersi cura di sé o a farlo quando ormai è troppo tardi.
Il Covid-19 ha reso più difficile l’esistenza degli oltre 564mila uomini che in Italia vivono con un cancro alla prostata. Per il 71% dei pazienti il Coronavirus è fonte di forte preoccupazione, mentre il 37% è convinto di essere più esposto al contagio a causa dei trattamenti anti-tumorali. Quattro malati su dieci hanno evitato di andare in ospedale già durante il primo lockdown, rinviando così cure e visite. E sette malati su dieci auspicano di poter assumere terapie trimestrali o semestrali, per poter così ridurre gli accessi alle strutture sanitarie e garantire la continuità delle cure.
Le visite urologiche durante il Covid in Italia
In un Paese che vede 25 milioni di uomini sopra i 15 anni, 8 italiani su 10 non si sono mai sottoposti a una visita dall’urologo. Eppure, il cancro della prostata rappresenta il tumore più frequente nei maschi dopo i 50 anni, con numeri molto simili a quelli del tumore della mammella.
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